Tra Brexit e Trump, l’euro misura la sua forza
La strada è quella tracciata dall’ambiziosa tabella di marcia della cosiddetta relazione dei cinque presidenti, presentata il 22 giugno 2015, “Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa”. Il piano, concordato tra i leader delle istituzioni UE e coordinato dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, illustra le fasi per arrivare a un coordinamento più stretto delle politiche economiche, con misure per una maggiore convergenza e solidarietà tra i Paesi della zona euro.
Il processo è aperto all’adesione di tutti gli Stati membri dell’UE che lo desiderino, ma dopo il referendum britannico Bruxelles si trova a gestire uno scenario ben diverso. Altro che entrare nell’UEM, Londra esce dall’UE.
C’è chi spera che l’uscita del Regno Unito possa essere un’opportunità per un’Europa più unita. La Commissione coglie la palla al balzo e, nel programma di lavoro per il prossimo anno, intende agire per “un’Unione forte costruita su una forte UEM”. In estrema sintesi, presenterà idee su come riformare un’Unione a 27: un Libro Bianco sul futuro dell’Europa che, a 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, conterrà anche il futuro dell’UEM. Per garantire un futuro di stabilità e crescita, la Commissione punterà sul rafforzamento dell’Unione economica e monetaria e proporrà un pilastro europeo dei diritti sociali.
La posta in gioco è alta. L’euro è una moneta stabile. Ci siamo abituati al successo e ci dimentichiamo che non era affatto scontato. Oggi è la moneta comune di 19 Stati membri dell’UE e oltre 330 milioni di cittadini. Ha garantito la stabilità dei prezzi e li ha protetti contro l’instabilità esterna nella peggiore crisi finanziaria degli ultimi settant’anni. Nonostante la crisi, è la seconda valuta più importante del mondo, dopo il dollaro Usa, con una quota pari a un quarto delle riserve mondiali di valuta straniera e con una sessantina di Paesi e territori in tutto il mondo che hanno ancorato la loro moneta all’euro.
Come ha ricordato il presidente Juncker nel discorso sullo stato dell’Unione, l’euro porta benefici economici enormi, spesso invisibili. I Paesi dell’euro hanno risparmiato quest’anno 50 miliardi di euro di interessi, grazie alla politica monetaria della banca centrale europea. Si tratta di 50 miliardi extra che i ministri delle Finanze europei possono investire nell’economia. “Mario Draghi – ha detto Juncker – sta preservando la stabilità della nostra moneta. Sta dando un contributo all’occupazione e alla crescita maggiore di tanti dei nostri Stati membri”. E se è vero che gli europei hanno sofferto per la crisi finanziaria e del debito, è anche vero che mentre nel 2009 i deficit pubblici nella zona euro erano in media al 6,3% del Pil, oggi sono al di sotto del 2%. E negli ultimi tre anni quasi 8 milioni di persone hanno trovato lavoro.
Altro fatto positivo: è stata scongiurata la Grexit. Bruxelles è riuscita a mantenere la Grecia nell’eurozona e “le cose resteranno così”. La Commissione ha favorito gli accordi con Atene per riformare l’economia e avviare la ripresa, sollecitando solidarietà e responsabilità da parte di tutti i Paesi dell’euro.
Progressi sono stati fatti più in generale anche rispetto alla relazione dei cinque presidenti per completare l’UEM, che propone misure concrete per raggiungere l’obiettivo di un’unione economica, finanziaria, di bilancio e politica.
Ci sono stati passi in avanti nella prima fase, che è iniziata il 1° luglio 2015 e dovrebbe concludersi il 30 giugno 2017. Si richiedeva, per esempio, una maggiore concentrazione su occupazione e performance sociale: la Commissione ha presentato, nel marzo 2016, una prima stesura di massima del pilastro europeo dei diritti sociali e ha avviato una consultazione pubblica. I risultati contribuiranno alla proposta definitiva preannunciata per la primavera del 2017. Il pilastro dei diritti sociali stabilirà una serie di principi fondamentali per sostenere, all’interno della zona euro, mercati del lavoro e sistemi di protezione sociale equi e ben funzionanti.
Per perfezionare la governance economica, la Commissione ha migliorato il coordinamento delle politiche economiche nell’ambito del semestre europeo. Le relazioni su ogni Paese sono presentate prima rispetto al passato, in modo da permettere una discussione approfondita con ogni governo. Le raccomandazioni specifiche Paese per Paese si concentrano su un limitato numero di priorità da affrontare con urgenza, con più attenzione alle priorità sociali, ovvero ai problemi legati a disoccupazione, istruzione e inclusione sociale. Inoltre, contemporaneamente all’analisi annuale sulla crescita, la Commissione propone una raccomandazione per la politica economica dell’eurozona. Il tutto è diventato più democratico, con un maggiore coinvolgimento del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali.
La Commissione ha inoltre adottato proposte per una rappresentanza unica della zona euro negli organismi internazionali, per parlare “con una sola voce” e sfruttare appieno la potenza dell’euro. Ha lanciato lo European Fiscal Board, il comitato europeo per le finanze pubbliche, un organo indipendente per valutare la conformità dei bilanci nazionali con le raccomandazioni approvate a livello UE. Il Consiglio ha appoggiato la creazione di comitati nazionali per la produttività, che dovrebbero contribuire a migliorare produttività e competitività.
Un altro obiettivo della prima fase è il completamento dell’Unione bancaria. Su questo fronte, il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie è diventato pienamente operativo il 1° gennaio 2016. Il 24 novembre 2015 la Commissione ha proposto il sistema europeo di assicurazione dei depositi come rete di sicurezza aggiuntiva per i risparmiatori europei. Altro obiettivo importante è l’Unione dei mercati dei capitali, indispensabile per migliorare il finanziamento dell’economia: nella primavera del 2017, la Commissione farà il punto sui progressi fatti.
La seconda fase, dal 2017 al 2015 al più tardi, prevede di rendere più vincolante il processo di convergenza, concordando una serie di standard a livello europeo che ogni governo dovrà raggiungere in ambito di mercato del lavoro, competitività, contesto imprenditoriale, pubblica amministrazione e politica tributaria; prevede inoltre l’istituzione di sistema di stabilizzatori comuni per reagire agli shock nella zona euro, cui potranno accedere i Paesi che avranno fatto le riforme. E’ prevista l’integrazione del Meccanismo europeo di stabilità nel diritto UE. Viene anche prospettata in futuro l’istituzione di una “Tesoreria europea”, un sistema che consenta di prendere le decisioni collettivamente, sebbene le decisioni di bilancio rimangano di competenza nazionale. Attenzione a chi parla di chimere, passo dopo passo, la fase 2 dell’UEM è meno lontana di quanto sembri.