L’uso dei fondi strutturali per affrontare l’emergenza Coronavirus
Il bilancio dell’Unione è fissato per sette anni. Il 2020 è l’ultimo anno del settenato in corso. Il bilancio per i sette anni 2021-2027 non è ancora definito, e la Commissione si è impegnata a rivedere nei prossimi giorni la proposta – che aveva fatto nel 2018 e che Parlamento e Consiglio stavano discutendo – per adattarla al nuovo contesto.
Questa premessa è importante perché quando la Commissione a fine febbraio/inizio marzo cercava risorse finanziarie per sostenere gli Stati membri nella loro lotta contro il COVID-19, si è trovata con pochissimi margini, dovuti per l’appunto al fatto di essere alla fine del settenato in corso. Le uniche risorse disponibili si sono rivelate quelle della politica di coesione e dei suoi fondi strutturali, la cui attuazione è sempre e strutturalmente in ritardo di qualche anno rispetto al resto delle altre politiche e strumenti finanziati dal bilancio europeo.
È così che è nata la Coronavirus Response Investment Initiative.
A metà marzo, la Commissione ha presentato i primi elementi di questa iniziativa: un aumento della liquidità immediatamente disponibile agli Stati e una flessibilità sulla tipologia di investimenti da finanziare. Il primo elemento riguarda quasi 8 miliardi di euro relativi agli anticipi concessi agli Stati nel 2019. Normalmente, questi anticipi sono restituiti dagli Stati a chiusura dell’anno contabile. La Commissione ha deciso di lasciare queste risorse nelle casse dei bilanci nazionali. Per l’Italia si tratta di 850 milioni di euro a cui si aggiungono i nuovi anticipi per il 2020 versati tra fine marzo ed inizio aprile, per un totale di 1.8 milardi di euro di liquidità. Il secondo elemento permette agli Stati di finanziare misure che non sono normalmente sostenute dalla politica di coesione europea: sostegno al reddito, capitale circolante nelle imprese, e tutto ciò che è necessario per sostenere e rafforzare il sistema sanitario.
Consiglio e Parlamento hanno rapidamente approvato queste misure per sottolinearne l’urgenza, misure che sono entrate in vigore il primo aprile. Nel corso delle discussioni, molti paesi avevano indicato che misure ulteriori sarebbero state necessarie. E, in effetti, ad inizio aprile la Commissione ha presentato un secondo gruppo di misure mirate essenzialmente a dare flessibilità finanziaria agli Stati ed alle regioni per destinare le risorse disponibili agli investimenti necessari per fare fronte alla crisi. È così che la Commissione propone di potere spostare risorse tra programmi, tra fondi, tra regioni, e tra priorità. Inoltre, la Commissione propone anche alcune misure per snellire il funzionamento della politica e per permettere ai paesi di rinunciare all’obbligo di cofinanziare le risorse europee.
Cosa vuol dire in pratica? Le risorse finanziarie della politica di coesione sono distribuite tra programmi regionali e nazionali che fissano obiettivi e priorità per sette anni. È questo il senso di una politica strutturale che opera sul medio periodo. Con queste nuove regole, la Commissione dice in sostanza che – data l’emergenza – si possono spostare risorse dove c’è bisogno, sui territori più colpiti, sui fondi più appropriati, sulle misure più urgenti. E, per far questo, è necessario derogare ad alcuni dei vincoli previsti. Dunque, le risorse che erano previste, per esempio, per piani di efficientamento energetico possono essere spostate sulla sanità; le risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale destinate a investimenti sulla rete viaria possono essere spostate sul Fondo sociale europeo per sostenere la cassa integrazione; le risorse previste per investimenti in una regione meno colpita dal virus possono essere messe a disposizione del sistema sanitario di un’altra regione più esposta. Ovviamente, queste sono flessibilità che i paesi possono usare, ma non sono obbligati ad usare.
E in Italia? I fondi strutturali in Italia rappresentano poco piu di 50 miliardi di euro sui sette anni, di cui quasi 32 miliardi di risorse europee. L’Italia ha selezionato operazioni per un valore di quasi 41 miliardi, di cui 29 sono impegnati, e quasi 16 rendicontati alla Commissione europea. In teoria, dunque, le risorse disponibili variano tra i 21 ed i 9 miliardi a seconda che si considerino le operazioni selezionate o quelle impegnate come non più disponibili per finanziare misure relative alla crisi. In realtà, anche queste cifre sono approssimative, perché spesso bandi di gara che sono già stati lanciati non sono inclusi in questi numeri.
Il primo lavoro da fare, dunque, è una ricognizione programma per programma, priorità per priorità, progetto per progetto, per stabilire quali sono effettivamente le risorse potenzialmente disponibili per far fronte alla crisi. Il Governo ha recentemente proposto a tutte le autorità responsabili dei programmi cofinanziati dalla politica di coesione europea di dedicare il 20% delle risorse alle misure anti-crisi, ovverosia 10 miliardi di euro. Dieci miliardi che potrebbero essere meno, se l’Italia decide di non cofinanziare questi interventi: in questo caso, si tratterebbe di poco più di 6,3 miliardi di euro.
Il secondo lavoro è identificare le misure da finanziare, o lasciando a ciascuna autorità regionale o nazionale di decidere le misure prioritarie o convogliando le risorse su grandi interventi di carattere nazionale.
La discussione è in corso. La Commissione è in contatto quotidiano con Governo e regioni per accompagnare questo processo, accelerarne la conclusione in modo da potere ripogrammare le risorse per finanziare interventi che sono oggi più che mai urgenti.
Articolo di Nicola De Michelis, Direttore per la crescita intelligente e sostenibile presso la Direzione generale Politica regionale e urbana della Commissione europea.
Info: https://ec.europa.eu/italy/news/20200420_uso_dei_fondi_strutturali_per_emergenza_coronavirus_it